(Per una mostra di pittura)
p. 15
p. 16
p. 17
p. 18
Emerson «pastore mattinale» che va leggendo i grandi significati anche nelle più piccole cose, quando incidentalmente nei suoi saggi sull'arte ed il poeta sfiora l'argomento della critica, non può a meno di versarle contro del fiele, la dice infestata dal gergo del materialismo, la chiama cosa volgare che arroga come maggior merito dell'artista la materiale intelligenza e l'attività, e narra dei clamorosi voli delle censure che sciamano e minacciano di divorare i canti dei poeti, ma cadono alla fine d'un breve slancio e infracidiscono non avendo ricevuto dall'anime di coloro da cui vennero ali di bellezza. Non si meravigli perciò chi resterà deluso avendo qui cercato critica correttiva e fatta di valutazioni e di ravvicinamenti; per quanto mi si vada parlando di nuovi accordi e parentele, con gran gioia, io penso, de' critici mestieranti; io pure credo che la cautelosa non sia che d'inutile fastidio alla giovane audace, ed amo piuttosto far come il rapsode che canta un poema e lo divulga, arricchisce di musica le visioni, e prova le stesse armonie su diverse corde per trarne diverse dolcezze.
Tutta un'intiera esistenza concorre e coopera in un giudizio. E perciò veramente irrisoria la semplicità con la quale il critico pensa di liberarsi da tutto quello che la vita e il tempo gettarono come un mare su di una riva dell'anima sua, varcar gli abissi che separano l'anime e dettar legge allo spirito altrui, senza accorgersi di vedere traverso degli occhiali colorati, di non lodare o discutere che una deformazione di sè stesso. Perchè ingannerei cosi grossolanamente quelli che mi leggono dando loro a credere che io parlerò di tre artisti e che i loro spiriti son proprio come io li avrò descritti, ignudi, schematici come alberelli seccati; e non confesserò piuttosto che io non posso che parlare di me, fermar con lo spillo qualche farfalla, mostrar qualche piccola mummia aromata di verbosità, apparire in qualche travestimento, evocare degli stati del mio spirito che va incessantemente e complessamente modificandosi, e che vorrebbe per esprimersi dei mezzi più sinceri e profondi che non la logora moneta del linguaggio? Se per mille di questi stati che passano nell'attimo con innumerevoli sfumature io non ho che una sorda parola, che mai sarà per quelli d'altri spiriti tanto lontani dal mio, che adoprano altri segni, sono agitati da altre illusioni? io non potrò darne che un deforme riflesso. Pure io voglio tentare; che è tutta la vita se non un tentativo che s'aumenta d'intensità e di disperata bellezza? Io so che la mia anima stessa non si riconoscerà più nello scritto soltanto vecchio di pochi istanti e vi troverà delle semplicità e dei balbettamenti che le sembreranno d'una lontana fanciullezza; che egli diverrà nello spirito del lettore, qualcosa ch'io non voleva, strana e che non so immaginarmi; che l'anime che avrò creduto personificare vi si contempleranno senza riuscire a ravvisarvisi; ma è bello scoccar follemente delle frecce verso il cuore dell'irraggiungibile sole, e di qualche piacere lanciar dall'isola solitaria nell'universo all'altre isole floride e taciturne dei vani ponti di suoni e arcobaleni.
Difficilmente tre espressioni più opposte potevano ottenersi in una moderna mostra di pittura, trovare emblemi di dolore e sembianze di vinti accanto alle più serene visioni, ed a quella serie di ritratti cosi nobilmente meditativi che sembrano ognuno portare potenzialmente qualche vasta azione o qualche idea poderosa che vibri nella tristezza crepuscolare, mentre s'allargano sullo sfondo meravigliose campne e vivissimi cieli. Come tre vertici: un'eco delle nordiche spiagge, un respiro di panesimo sentito traverso il rinascimento, e un'epopea di moderni pensatori e poeti. Immaginate alcuna delle gelide e sconsolanti conclusioni del pensiero di Leone Tolstoi, espressa in rudi colori e avrete un'idea delle tele dello Zoir violente e selvagge; la bestemmia d'una bufera che torce degli uomini come arbusti in una landa nevosa ed una rassegnazione ancora più cupa in un'ombra di funerei cipressi. La visione dell'ambiente nativo lo persegue anche nel classico viaggio in questa dolce terra, ed egli ingenuamente l'esprime con una sincera crudezza di barbaro. La brutale nordícità dello Zoir può urtare il nostro ricco gusto latino ma quando nelle acqueforti egli si concede maggiori libertà e tratta il nudo, il paese ed il ritratto procedendo con tecnica magistrale ed efficace, allora anche la sua concezione è abbellita, si dirozza e si complica, e divien misteriosa fra le esperte raffinatezze dell'esecuzione, e la robustezza non perde nulla ma si nobilita, si volge in analisi di segreti, d'ombre e di fronde per schiudersi in vivacità improvvise di linee e d'arie piene di significati.
Adolfo de Karolis è il pittore dell'incorporea purità e delle forme celesti, per lui tutto s'intreccia in perfette armonie, egli non conosce l'azione terribile e crudele, ed i suoi paesi son più dolci di Lesbo ricca di mirti e d'usignoli e più floridi dell'Abruzzo dai molti torrenti che scendono cantando fra le colline. Tutta la sua opera sembra convergere a celebrare un'ideale femminino che ha per aureola una pacata e maestosa serenità e che ama ora spargere stelle nel cielo, ora andar per i campi fioriti disciogliendo i vecchi canti della primavera con sempre nuova letizia; ora sognare fra l'ale d'angeli pallidi e biondi come fanciulle, in un cristiano raccoglimento pieno di sorriso come quello degli Umbri.
La sua tecnica è fatta di luce, di respiri, di tenuità, di veli. Quella sua leggiadria di vesti mosse negli atteggiamenti della danza non ha riscontro che nelle statue e nei bassorilievi dei greci; la ricchezza dei pallii è poi tutta quattrocentesca e italiana, e l'oro non vi giace smorto e uniforme ma plasmato freme nella luce che vi desta sempre varie vivacità di toni e di riflessi. Io non so percnè si attribuisca l'efficacia che compenetra l'anima e la fa vibrare, soltanto a coloro che mostrano un tragico destino impresso a segni dolorosi sui visi dei loro eroi; non meno ricco di significati mi sembra quell'alto sorriso che s'afferma con un'incrollabile speranza dopo vinte molte disperazioni e molte prove di pianti, e non meno comunicativi quei volti su cui non è traccia di rughe ma polverio di sole. Per questo le figurazioni del de Karolis, sanno rompere i veli che ci ottenebrano la vita e intrecciati i loro cori intorno ai nostri spiriti condurli in sfere meravigliose; esse son le figlie del più puro idealismo, fanno del mondo un giardino e pongono una stella raggiante sopra ogni fronte. Son come amorose sorelle e ognuna ha un diverso respiro nella dolce gola; taluna ama i limpidi cieli, taluna le solitudini notturne, altre stanno solitarie in romiti tempietti o in taciturni giardini e attendono ai suoni ed ai canti. E tutto il loro corpo è una musica, sembra che l'azzurro ne tremi e lampeggi dell'ali e delle lucide carni, mentre un'aria turba le bianche vesti in eleganti ondeggiamenti come di veli, di nebbie e di nubi d'incenso.
Straordinario è il senso musicale di quest'artista, anch'egli potrebbe esser chiamato ordinatore di cori. Con atteggiamenti, colori e con magnifiche espressioni nelle perfette bocche delle sue donne dolcissime e sensitive, egli sa darci tutte le sfumature d'un suono, l'impeto quasi ditirambico della canzone del risveglio e la tristezza d'una cadente armonia.
La natura è in continua simpatia con le sue creature e ama i loro gaudi e le loro meditazioni, ed il loro spirito vibra con l'unisona vita dei cieli, delle fronde e dei fiori, e da una così profonda comprensione nascono come nuovi esseri e nuovi mondi, completi e ricchi di vita propria; emblemi dei veri esseri e dei veri mondi di cui noi siamo la lubrica caricatura. È immortale quella tristezza d'autunno che circonda la fontana a cui la donna s'è recata con la sua coppa d'oro, e quel volto d'avorio e quella splendida chioma. Ogni opera d'arte è un'affermazione d'eternità, nella sua confortante bellezza vi è l'espressione adatta ai nostri spiriti d'un monismo, d'un'unità di perfezione ideale.
Ma A. de Karolis ama dirsi soltanto decoratore. E della decorazione come i Greci ed i Veneziani con le loro scuole ha un senso così alto da non stentare a farne lo scopo d'ogni pittura. Io non so qual tempio egli sogni dove le sue opere sarebbero ornamento, come i cintoli d'oro e le rose fiammanti ornano queste sue fanciulle. Sorgerebbe questo tempio in mezzo alle selve che angustamente come in un'egloga latina egli loda nel suo quadro del giorno mostrando la schiera delle vergini bianche che vanno all'acqua ombrosa e tranquilla? O l'ala della notte lo sfiorerebbe in una campna dalle rupi azzurrognole ai piedi delle quali dormono le fanciulle con i loro amanti?
Io credo che forze umane non ergeranno mai questo tempio, egli appena ce ne mostra qualche frammento, qualche effigiata sacerdotessa dalle dolci movenze. E in forme così immateriali che sembran più inespressi pensieri che pitture e appartenere per la loro chiarezza non al nostro ma ad un inondo in cui il giorno sia tutto un mattino e dove non esista la notte.
Io drappeggerò ora nelle mie più alte tristezze alcuni tipi d'una razza di sognatori e di duci, e penserò che nelle loro fronti gravi tutto il dolore e fluttui tutta la speranza d'una umanità. Penserò che essi dimorino meditando senza tregua contro i fati in solitudini d'ombra e di mistero, e che abbiano giurato di non schiuder le labbra se non a grido di trionfo. Che il loro cuore sia turbato nell'udir il suono de' pianti al di là dei ceruli monti che segnano il loro dominio, ma che il loro spirito vegli e non vacilli. E sognerò che quelle effigi di barbari dalla fronte di rame, di crudeli dal volto cerchiato di fiamme, di pallidi saggi e di pensierosi fanciulli, sono i resti di qualche affresco meraviglioso di cui il tempo abbia appena serbato qua e là qualche traccia. I risuscitati ritratti di generazioni passate che noi riviviamo facendo con altre parole la inutile e triste domanda che s'agita sulle loro bocche.
Il maggior pregio di Giovanni Costetti è d'avere unito alla nobiltà antica il senso della febbrilità moderna, in un ideale tipo di gioventù forte e meditabonda. Egli non ci ha dato la compiuta visione libera come la farfalla dall'involucro, ma il creatore, il figlio della terra, che s'innalza nella purezza delle sue speranze, e soffre nella tempesta della vita che il suo alitante fuoco divinizza. Certi suoi ritratti campeggiano in così misteriose cupezze che par difficile l'umano spirito abbia potuto spaziarvi; altri in una montana limpidezza trionfale hanno per sfondo i cieli più glauchi e le irrigue compne più vaghe, e guardano con occhi d'aquila i loro regni mentre qualche fronda d'alloro sembra protendersi per ghirlanda; su altri infine è un peso di cupi dolori, di desideri sovrumani e d'angoscie infinite, è il segno della volontà terribile sul cui pugno scenderà come un falco la sorte.
Egli è il pittore della vivezza dei tramonti, dell'ardente vita, della costretta passione, del sogno di melanconia e di solitudine, della pena dell'anime gagliarde; dipinge delle calde forme che vestiranno le vostre idee, vi dà delle coppe che voi empirete delle vostre tristezze.
V'ha chi confrontò questa sua tragica passione con l'amarezza sterile d'un decadente, ma la sua nuda vigoria spregia tale vicinanza; altri tutto lieto di poter lodare qualcosa di logoro e già trascinato all'aberrazione, fece risalire ai veneziani il suo colore, non scorgendo che si trattava di verginità e non di postumi rigogli d'un vecchio tronco, e che in quelle carni più cupe dell'avorio e infiammate dai repentini guizzi dell'interno tumulto, in quelli occhi cerchiati in quelle bocche tristi e vermiglie, nelle mani pallide e nervose, nella radice delle chiome agitate in chi sa quale incertezza di venti, fluiva un sangue audace e tutto moderno. Il sangue della nostra giovinezza che s'è attristata con Leopardi e Schopenhauer, ha cercato la solitudine ed ha gridato d'entusiasmo e di speranza con Shelley.
Come nei cori tranquilli il Ghirlandaio aveva celebrato il Ficino, il Poliziano e le dispute degli ingenui umanisti, ora Giovanni Costetti ritrae i volti angosciosi dell'anime nostre. E oppongo senza timore questo raffronto a quelli che mormorano della morte della grande anima latina.
Noi ne vediamo la ricchezza de' forti atteggiamenti in poesia; e vediamo la verace promessa di queste spirituali pitture dov'ella ferve come in ritmo di distico, e si commuove d'alti pensieri che già turbarono lo spirito inquieto di Dante. E sappiamo che forse mai come oggi mentre molti secoli di nazionali tradizioni ci vegliano e s'intravedono dei vergini mari, fu aspra la fatica dell'esprimere, l'aprire una via alle prore fra i tenaci sargassi. Che mai l'opera fu più appassionata e febbrile.
Perciò volgendo gli sguardi a ciò che non si mostra, alla cella segreta dell'artista, più si fa vivo il travagliato splendore di quest'anima. Stanno sotto i pochi fiori sbocciati, molti illanguiditi nella scoria comune, e superbi tentativi che il tardo tempo snoderà poi dal suo groviglio; e vanamente lampeggiano molti sogni caduti che nessuna urna raccoglie.
A proposito di una Esposizione delle opere di E. Zoir, A. de Karolis e G. Costetti che fu aperta dal 20 di novembre al 10 di dicembre nel palazzo di Belle Arti in Firenze.
◄ Fascicolo 11
◄ Emilio Cecchi